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Brawl Stars

La recensione di papà Federico e papà Jan

Verrebbe da dire che in Supercell non ne sbagliano una, o quasi. Lo studio di sviluppo finlandese – che quest’anno festeggia i 10 di attività - dal 2016 è nel portfolio della potenza cinese del gaming, Tencent. Con la conseguenza di un pubblico enorme per i propri titoli e dunque risorse economiche adeguate per rispondere colpo su colpo ai molti competitor del mercato dei videogiochi per smartphone. Fino ad arrivare spesso a dettare il ritmo dall’alto delle classifiche, così come era accaduto con Clash of Clans e l’ormai (pare) intramontabile Clash Royale. Così sta accadendo anche con Brawl Stars, con una curva molto lenta (il gioco in realtà ha esordito nel 2017) ma che ora è arrivata a catturare tutta un’intera fascia di giocatori. Dai bambini anche di 6-7 anni ai ragazzi di 13-14. I nostri figli. Un obiettivo ottenuto anche grazie a campagne di marketing mirate che hanno visto coinvolti perfino i giocatori del Paris Saint Germain, oltre che il potente traino svolto dagli altri titoli della società. Fatto sta che la candidatura ai Bafta, i premi inglesi per i videogiochi, è arrivata solo nel 2019 a braccetto con l’esordio per il gioco nelle arene degli eSports. Con un rating impostato sui 10 anni in ambiente Android e sui 9 in quello iOS, siamo qui - come è ormai nostro rituale – per capire se e con che modalità il gioco è adatto a essere messo in mano ai più piccoli.

Per iniziare la nostra indagine, premettiamo subito che il discorso non è né sarà troppo dissimile da quello fatto lo scorso mese per Fortnite. Se il gameplay, la modalità di gioco, è di tipo “sparatutto” e dunque parliamo di un gioco di guerra – con al centro diverse tipologie di brawler, i nostri combattenti in miniatura con abilità e armi uniche da mixare -, dove la vittoria passa (anche) dall’eliminare gli avversari, l’ambientazione fortemente fumettosa, la scala ridotta dei personaggi e la totale assenza di immagini violente rendono Brawl Stars decisamente adatto ai bambini e ragazzi. Aggiungiamo anzi che, a differenza di Fortnite e anche degli altri titoli di Supercell, la velocità del gioco e la necessità di agire con prontezza e precisione su comandi che sono solo (inevitabilmente) touch, Brawl Stars è un gioco probabilmente destinato soprattutto alla fascia d’età dei più giovani. Nessuno dei due papà impegnati in questa recensione è riuscito a raggiungere abilità tali, e dunque ottenere risultati in termini di punteggio (i trofei, che definiscono il nostro livello di gioco), da essere anche minimamente comparabili con quelli dei loro figli. Pur alle prime armi anche loro con il titolo.

Più sostanziale, e fondamentale ai fini della nostra recensione, è un’altra differenza rispetto a Fortnite, che nel frattempo è stato espulso dagli store di Apple e Android a seguito della diatriba tra Epic Games e i detentori delle piattaforme mobili sulla commissione da pagare a questi ultimi. Molti “sparatutto” usciti negli ultimi anni sono stati la risposta alla “febbre da battle royale” (il tutti contro tutti) ad accesso gratuito che non è stata scatenata da Fortnite ma che il titolo Epic sta indubbiamente cavalcando. Brawl Stars non fa eccezione, pur con caratteristiche del tutto differenti come modalità di gioco.

Ma mantiene in sé il carattere tipico dei giochi di Supercell: è un cosiddetto gioco freemium, ossia pur essendo gratuito per il download, gli acquisti in app a differenza di quelli estetici di Fortnite (che pur esistono anche nel titolo finlandese) hanno un impatto rilevante sulle capacità di gioco: con le gemme virtuali che si acquistano con euro reali, si possono ottenere prima i potenziamenti dei brawler e si possono acquistare lottatori più potenti. Il primo compito del genitore che quindi si appresta a introdurre Brawl Stars ai propri figli è quello di affrontare con lui il tema dei potenziali acquisti. Con un duplice scopo da raggiungere: 1) insegnare le regole del fair play, e cioè – in pieno parallelismo con quello finanziario del calcio – che il piacere del giocare è sì (anche) vincere ma di farlo attraverso il proprio impegno e capacità e non perché si hanno abilità e armi migliori pagando più soldi degli altri; 2) evitare una completa sottovalutazione del valore dei soldi e dunque scegliendo assieme eventualmente cosa e ogni quando comprare, e non correre il rischio di vedersi la carta di credito saccheggiata per capriccio.

È un fatto da riconoscere, e mettere senza moralismi tra il nostro – inteso come famiglia di gamer – bagaglio di strumenti critici, come questi giochi spingano in modo pur non eccessivo verso l’impulso a spendere. Imparare a resistere e centellinare i “regali”, non per partito preso ma a ragion veduta, farà di noi e dei nostri figli dei (video)giocatori migliori. Questo poi permette di proseguire il dialogo genitore-figlio anche su un tema, come lo sono i videogiochi, che rischia invece di dividere se non affrontato.

Ma torniamo a Brawl Stars. Di cosa stiamo parlando, dunque? Di un gioco per ambienti iOS e Android che come detto si può scaricare gratuitamente, anche solo per dargli un assaggio. E come suggerisce il nome, si tratta di un gioco di “risse” tra giocatori di tutto il mondo (in singolo o a squadre), la cui interazione al di fuori del gioco in sé – come è tradizione “protettiva” di Supercell – è davvero limitata al minimo, con chat in cui appariamo con il nostro gametag. Se da un lato questa anonimità non è mai preferibile, dall’altro permette al ragazzo di non impelagarsi in relazioni digitali più complesse, e anzi di imparare il modo corretto con cui relazionarsi in Rete in un ambiente appunto limitato e ben gestibile (dotato di un pulsante che permette di segnalare utenti che si comportano male). Ovviamente questo è un plus fondamentale per ogni gioco che punta ai giovani. Perché una delle esperienze più belle, su Brawl Stars e altri titoli simili, è quella di costruire una squadra con i propri amici e giocare di tattica con loro.

Nel gioco partiamo con Shelly, il nostro brawler di base con capelli viola e fucile a pompa, e la impiegheremo all’inizio nella sola modalità “Arraffagemme” la cui interazione semplice – raccogli le gemme e sopravvivi – permette di fraternizzare con i comandi e le regole base del gioco. Ossia i tre pulsanti simulati, a sinistra quello direzionale, a destra quello per la mira/sparare con al fianco quello della supermossa ricaricabile dopo l’uso. Man mano che saliamo di trofei potremo diversificare le attività dei nostri brawler sulle altre modalità di gioco, ossia l’attacco alla cassaforte della squadra avversaria di “Rapina”, una sorta di calcio molto divertente con “FootBrawl”, il più classico “Sopravvivenza” che richiama molto la battle royale di Fortnite, quindi “Assedio” e altri che entrano ed escono dalle modalità disponibili a seconda delle stagioni che dettano il ritmo del gioco. Se già da questi accenni vi pare che la complessità/densità sia alta, sappiate che è destinata a salire. In generale i giochi tarati su una fascia d’età giovane prediligono inserire quel “multitasking” tipico della nuova generazione. Per capirci, ci sono: i trofei che danno conto del nostro valore stagionale e permettono di ricevere i premi del “Cammino dei trofei” e nuove missioni; i punti energia per sbloccare i miglioramenti dei brawler – che più avanti potranno essere dotati anche di gadget e dell’abilità stellare -; i gettoni di gioco che servono per comprare i miglioramenti; e infine le gemme che hanno un uso universale e difatti possono essere acquistate in cambio di soldi veri. Con queste si possono comprare nuovi brawler, nuove skin (perché come insegna Fortnite, ogni gioco di massa per adolescenti deve avere una parte dedicata all’aspetto), ma anche punti energia dei diversi tipi, gettoni, casse sorpresa, fino al Brawl Pass, biglietto stagionale per accedere a trofei ed eventi. Insomma, le variabili sono tante e vorrebbero garantire fedeltà al gioco.

Non siete (solo) voi a essere diventati vecchi, sono i nuovi giochi che necessitano complessità e stimoli continui – da cui la richiesta di inviare notifiche – per vincere la competizione sull’attenzione dei nostri figli: si chiama “economia dell’attenzione” ed è un tema importante su cui informarsi e di cui parlare con loro. Non è però questo il luogo. Perché qui invece parliamo di come la complessità della struttura di un gioco pur semplice nei suoi concetti base (spara e riparati), anche perché creato per il piccolo schermo dello smartphone, si trasferisce in realtà anche nel gioco in sé. Le partite, altro marchio della casa con Clash Royale, durano pochissimo, il tempo di una pausa dallo studio o dal lavoro (formula geniale). Ma sono densissime, con le dita che cercano a fatica di gestire il touch come fosse un joystick analogico nella frenesia dell’azione. Se disponibile, è senz’altro da preferire l’utilizzo con tablet. L’ambiente è un 2D in prospettiva molto dettagliato – dove ci si può nascondere o anche rompere parti delle quinte -, e con ricchi effetti visivi tra spari e dati del personaggio: questo porta l’azione a diventare rapidamente una vera e propria rissa da fumetti, dove agli inesperti appare confusa e da affrontare sparando a occhi chiusi (e sperando di uscirne con ancora una tacca di salute), mentre quelli bravi sfruttano le inevitabili incertezze dei “nabbi”. A conferire ulteriore sensazione di confusione ci pensa la “colonna sonora” (urla ed effetti sonori), talmente ricca e rumorosa che sembra di immergersi in una vecchia sala videogiochi degli anni Ottanta.

In generale, l’effetto arcade d’altri tempi è una caratteristica di Brawl Stars. E questa sensazione dovrebbe aiutare a riconciliarci con quello che forse rappresenta il vero scoglio del gioco: una curva d’ingresso meno intuitiva di quanto non sia di solito con i giochi per smartphone. Ma questo vale soprattutto per gli adulti, perché così come intorno ai 10 anni noi ex ragazzi gestivamo Galaga senza problemi, i nostri figli vivono al ritmo di Brawl Stars. Non prendetela come scusa per non giocare con loro. E fategli fare delle pause di relax tra un serie di sfide e l’altra.

 

Scritto da papà Federico e papà Jan*

*Jan Beun è ingegnere strutturale ed è padre di Gianluca ed Helena.

Autore
Federico Cella
Federico Cella

Papà, giornalista del Corriere della Sera, esperto di videogiochi

Il primo compito del genitore che quindi si appresta a introdurre Brawl Stars ai propri figli è quello di affrontare con lui il tema dei potenziali acquisti.