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It Takes Two

La recensione di papà Federico e delle figlie Martina e Valeria

Cody e May non riescono a parlare con Rose perché la impostano male, cercano una conversazione da adulti, fattiva, e lo fanno pure in modo impacciato. Il modo di comunicare leggero è tanto più importante quando l’argomento è invece ingombrante: è quello che fa It Takes Two su una dinamica famigliare molto diffusa. La separazione di mamma e papà. Evento che, in presenza di figli, non distrugge una famiglia (o almeno, non dovrebbe farlo) ma ne modifica l’assetto. Il videogioco sviluppato da HazeLight e distribuito da Electronic Arts è un vero regalo da fare al proprio nucleo famigliare. Anche se fortunatamente non ci sono dinamiche di rottura in atto. Tanto più se invece le state vivendo. Perché è un modo di parlare alla propria compagna o al proprio compagno, e ai propri figli. Un modo reso necessario non dal tema, ma dalla modalità del gioco: si può andare avanti solo se si gioca in due, e lo si fa in modo coordinato, da squadra. Con schermo condiviso, nello stesso luogo oppure a distanza, online (il partner può non avere una copia del gioco). It Takes Two: ce ne vogliono due. Come per un inizio di famiglia. 

Il prologo lo abbiamo già delineato: May e Cody, coppia moderna (lei è ingegnere, lui più casalingo), non ne possono più l’uno dell’altra, puntano al divorzio e cercano di parlarne a Rose, la figlia piccola. Inutilmente: Rose si rifugia in camera e mette in atto la riconciliazione dei genitori con due bambole da lei costruite. Piange. E le lacrime attivano la magia: mamma e papà escono dai propri corpi e si ritrovano a vivere in quelli delle bambole. Altezza: 15 centimetri circa. Qui inizia il gioco: riuscirà la coppia litigante a trovare lo spazio di collaborare per poter raggiungere la stanza di Rose, in cima alla villetta, per tornare ognuno nel proprio corpo? La risposta, come accade in questi casi, passa attraverso i gamepad dei giocatori. Mamma e papà, per esempio, con il pubblico dei piccoli a fare il tifo. Considerare It Takes Two, in caso di litigi pesanti in famiglia, una terapia di coppia è più uno slogan da marketing. Ma è certo che giocare assieme fa bene, all’umore e ai rapporti, anche per sviluppare forme di comunicazione differenti rispetto a quella verbale. Magari un po’ deteriorata negli anni.

Il significato migliore che abbiamo trovato in It Takes Two, pur provato anche tra mamma (negata) e papà (nervoso), è stato però nel giocarlo tra padre – separato da poco – e figlie. Appunto un modo per parlare assieme di un argomento molto tosto, che ha cambiato la vita di ogni membro della famiglia, e pur condiviso, che non viene mai affrontato con piacere. Giocarci, come stiamo facendo in questi giorni, significa inquadrare l’accaduto in una casella meno cupa e triste. Ha permesso di parlarne e ridere (“May si lamenta sempre di Cody, come fa la mamma con te!!!”), di vedere assieme le difficoltà e anche qualche vantaggio. Un effetto comunque catartico. Grazie a un fatto molto semplice: il gioco è terribilmente divertente.

Lo studio di produzione, HazelLight, è specializzato in giochi co-op a due con schermo condiviso (era loro A Way Out, una fuga dalla prigione) e questa volta ha dato fondo a tutte le proprie competenze per arrivare alla perfezione della dinamica collaborativa. Cody e May devono affrontare la propria casa, sporca e disordinata – segno del malessere della coppia - con oggetti antropomorfizzati e delusi dai propri padroni che li hanno abbandonati. I due coniugi devono affrontare una sorta di platform – gioco a scorrimento solitamente orizzontale – pieno di mini-giochi prima di tutto da capire, e quindi da risolvere con grande manualità sui gamepad. Usando man mano le varie abilità – complementari e contrastanti, come una coppia reale - che i due acquisiscono progredendo nella trama.

Con il proprio o i propri partner di gioco si deve prima di tutto capire i passaggi da fare per superare il livello del momento. Dove spesso serve una sequenza di azioni non banale: vero e proprio problem solving logico molto interessante da porre di fronte ai propri figli. Per arrivare alla lotta finale contro il tremendo aspirapolvere rotto – uno dei tanti boss che cercano di punirci per la nostra incuria casalinga -, c’è un passaggio dove bisogna collegare in rapida sequenza un circuito elettrico rotto. Pronti, via: quattro passaggi sequenziali, due a testa, da compiere con precisione in pochi secondi. Perché, dopo aver capito la strategia insieme, si tratta di metterla in pratica. E qui i meno avvezzi al gamepad potrebbero soffrire di difficoltà iniziali: It Takes Two è un gioco che pur rivolgendosi a tutta la famiglia, non tralascia le esigenze dei veri gamer, dunque i passaggi facili sono davvero pochi. Ma i punti di salvataggio invece sono fortunatamente tanti: per cui ricominciare più volte lo stesso livello non è pesante. Si ha così il tempo per capire che se non si gioca come una squadra di nuoto sincronizzato, le speranze di andare avanti sono nulle. Analisi, strategia e messa in opera: momenti impagabili da condividere.

Serve poi fare anche il tifo per il proprio partner, incitarlo, infine gioire assieme. Contro l’orribile cassetta per gli attrezzi abbandonata, May dev’essere veloce e precisissima nei salti e quindi nel colpire con il martello: Cody deve rimanere in attesa, urlando la tattica migliore. E cercando nel frattempo di non morire sotto una pioggia di chiodi. Anche qui, la coordinazione è fondamentale: il livello ricomincia solo se tutt’e due i coniugi sono “morti”. Diventa usuale urlarsi: “Sono a terra, tieni duro finché non resuscito!”. Il tutto mentre un terzo protagonista – un libro di terapia relazionale che ha preso anch’esso vita – ostacola ulteriormente Cody e May per metterli di fronte a ognuna delle proprie negligenze. La strada della riconciliazione non deve essere facile, perché per arrivare al successo non si può saltare alcun passaggio. Il finale, lo diciamo subito, è con lieto fine tradizionale. Ma mai come in questo caso, è il viaggio a essere davvero importante. Un viaggio di conoscenza reciproca, che porterà May e Cody a rivivere i momenti felici e dunque ricominciare a capirsi. Anche ai giocatori il percorso lungo il gioco servirà per imparare a parlarsi anche al di là delle parole: un vero esercizio di team building che suggeriamo a tutte le famiglie. Unite, separate, doppie. O comunque siano.

Federico Cella, giornalista del Corriere della Sera e papà di Martina e Valeria
Martina e Valeria, studentesse

Autore
Federico Cella
Federico Cella

Papà, giornalista del Corriere della Sera, esperto di videogiochi

Considerare It Takes Two, in caso di litigi pesanti in famiglia, una terapia di coppia è più uno slogan da marketing. Ma è certo che giocare assieme fa bene, all’umore e ai rapporti, anche per sviluppare forme di comunicazione differenti rispetto a quella verbale. Magari un po’ deteriorata negli anni.