Si chiama pensiero computazionale e malgrado sembri un concetto complesso, il significato non è poi così lontano dalla nostra portata. Anzi, attraverso la codifica giocosa introdotta da alcuni videogiochi, diventa un sistema di ragionamento – vero e proprio metodo di problem solving – alla portata anche dei bambini. Si tratta, come spiega sinteticamente Wikipedia, dell'insieme dei processi coinvolti nella formulare un problema e quindi la sua soluzione, in modo tale che un umano o una macchina possano eseguirla. Ancora più sinteticamente, possiamo dire che è un metodo di ragionamento che ci permette di parlare con - e farci capire da - i computer. La storia della nascita del concetto risale a decenni fa, ma la sua formalizzazione è piuttosto recente: opera dell’informatica americana Jeanette Wing, in un articolo del 2006 dove lo descriveva come “un’attitudine e un insieme di competenze che ognuno, non solo gli scienziati, dovrebbe desiderare di apprendere”. Ed eccoci dunque arrivare alla forma di approccio al computational thinking più desiderabile di tutte: un videogioco firmato nientemeno che da Nintendo, Laboratorio di Videogiochi. Perché siamo andati a scomodare un concetto così “alto” per un videogame? Perché nel titolo giapponese per la console Switch ci sono tutti gli strumenti per imparare a programmare i videogiochi noi stessi. Seguendo la cosiddetta programmazione a oggetti – resa famosa del software per bimbi Scratch dell’Mit – e i tre passaggi che costituiscono il pensiero computazionale.
- Formulazione del problema (astrazione)
- Espressione della soluzione (automazione)
- Esecuzione della soluzione e valutazione della stessa (analisi)
È esattamente quanto accade nelle prime schermate del “gioco”: quando apriamo Laboratorio di Videogiochi per la prima volta, un puntino blu di nome Bob - che si presenta come nostra guida in questa avventura nel coding – ci invita a entrare nella sezione Lezioni Guidate e quindi a completare un semplicissimo platform. Compare sullo schermo un robottino, che deve arrivare a prendere una mela, saltando su tre piattaforme a diversi livelli d’altezza. Stick sinistro per muoversi, pulsante “B” per saltare. Però il nostro personaggio non salta! Perché? Formulazione del problema: perché l’azione di “saltare” non è di fatto associata al pulsante. Bob ci presenta così i Nodon, personaggini dalle varie forme e espressioni che rappresentano le funzioni e le variabili che possiamo utilizzare all’interno di un videogioco. La nostra guida ci mostra come, con un semplice movimento del dito sullo schermo touch, possiamo associare allo scontroso nodon chiamato “pulsante B” il suo compagno che rappresenta l’azione di “saltare” (ecco l’espressione della soluzione). A questo punto non ci resta che tornare al nostro giochino iniziale e vedere se adesso il nostro robottino effettivamente salta. E lo fa: livello completato con successo. Ossia, esecuzione della soluzione e valutazione della stessa.
Abbiamo quindi fatto i primi passi nel mondo della programmazione. Molti altri ci attendono, e abiamo provato a sperimentarli a casa, con Martina (10 anni) e Valeria (6). Ecco dunque Bob che ritorna per portarci per mano attraverso i 7 passaggi che ci porteranno a imparare a utilizzare il software, almeno a un livello base, e quindi renderci indipendenti nell’iniziare a programmare le nostre idee. Questo porta al secondo aspetto del titolo, una porta aperta verso l’user generated content, i videogiochi creati da noi e dagli altri utenti della community Nintendo. Una doppia valenza che contraddistingue da sempre i sandbox, come viene chiamato questo tipo di giochi, vasche di sabbia: gli strumenti per creare i nostri castelli digitali, da un lato, e l’accesso ai castelli degli altri per poterci giocare dall’altro.
I 7 scalini da salire, a difficoltà crescente, sono rappresentati da altrettanti mini-giochi con dinamiche differenti – si va dallo shooter in due dimensioni alla corsa di auto e all’avventura in 3D che chiudono il corso - da “risolvere”, ognuno dei quali ci insegna un pezzo di programmazione. Tra una “lezione” e l’altra interviene Alice, un altro punto, questa volta di colore bianco, che controlla se abbiamo ben appreso i concetti attraverso delle esercitazioni-Checkpoint e il rimando al Manuale di Alice per ripassare. Il tutto sempre giocando, sia chiaro. Se qualcosa non vi torna, c’è poi la Nodopedia, per un accesso rapido alle funzioni a che abbiamo a disposizione.
Mentre vi mettete alla prova con i vostri figli sui rudimenti della programmazione, potreste raccontare loro anche la storia di Bob e Alice, una sorta di favola digitale. I due nomi sono i più ricorrenti nel mondo dell’informatica, al punto da essere stati utilizzati – per esempio – da Facebook nell’esperimento teso a far dialogare tra loro due intelligenze artificiali. Bob e Alice, appunto, le cui conversazioni hanno preso però una piega inaspettata, sviluppando un proprio linguaggio di comunicazione – un inglese “ottimizzato” - si dice non previsto dagli ingegneri di Menlo Park (la sede di Facebook), al punto che l’esperimento è stato chiuso. Non si sa che rapporto ci sia tra i due, ma la loro relazione non ha forse nulla di romantico: si tratta della rappresentazione umanizzata (la cui nascita viene fatta risalire fin dal 1978) delle due variabili – banalmente A e B – più utilizzate in campi disparati, dalla fisica alla teoria dei giochi.
Laboratorio di Videogiochi di Nintendo – per Switch, 29,99 euro – rientra in quello che di fatto è un filone molto interessante nel mondo dei videogame. Sandbox richiama “vasche di sabbia” presenti in molti parchi giochi americani. La più famosa di queste vasche è di certo Minecraft di Microsoft, mentre da qualche anno – soprattutto in zona adolescenza – sta a dir poco spopolando Roblox (42 milioni di utenti attivi al giorno). Come detto, tutto nasce da software con scopo educativo come Scratch, per poi crescere in enormi community di nativi digitali che si scambiano idee e così facendo si preparano a un domani cosiddetto future-ready. Oltre a Dreams per Playstation, vale la pena citare un gioco in arrivo il prossimo autunno: The Sandbox unisce fin da subito all’accoppiata programmare-giocare l’idea di “vendere” le proprie opera d’ingegno create con il software. E di farlo attraverso l’utilizzo di blockchain e moneta digitale. Altri due concetti che potrebbero interessare ai vostri figli.
Federico Cella, giornalista del Corriere della Sera e papà di Martina e Valeri
Martina e Valeria, studentesse