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23 Novembre 2021Strategie videoludiche facilitano l’allenamento all’uso di arti robotici, coinvolgendo gli utenti di protesi in esercizi
che permettono ai dispositivi di imparare a riconoscere i comandi ricevuti.
Dopo alcuni articoli basati su interviste a colleghi, ho deciso di presentare una tematica di cui mi sto occupando personalmente proprio in questo periodo: l’utilizzo di videogiochi nell’allenamento all’uso di protesi bioniche d’arto superiore. Sullo sviluppo di questo tipo di sistemi convergono i risultati di ricerche in diversi ambiti – dall’ergonomia alla robotica, dalle neuroscienze al design industriale – al fine di rendere sempre più “naturale” il controllo protesico anche in termini di esperienza d’uso e di livello di “embodiment” (permettetemi di definire rapidamente questo termine come il grado con cui un oggetto viene percepito da un individuo come parte del proprio corpo). L’embodiment in particolare è al centro dei miei studi attuali, soprattutto pensando alle sue ricadute pratiche: più un utente percepisce la protesi come “incorporata”, più ne accetterà l’uso e sarà motivato ad impratichirsi nel suo controllo (riducendo il rischio di abbandono del dispositivo).
Favorire il coinvolgimento dell’utente e l’utilizzo della protesi fa anche sì che il software di quest’ultima possa imparare con sempre maggior accuratezza come interpretare i comandi della persona (espressi da segnali muscolari – elettromiografici – nel caso ad esempio di protesi non chirurgicamente inserite nel corpo della persona ma semplicemente indossate in corrispondenza dell’arto mancante). Proprio in relazione alla necessità di motivare la persona ad esercitarsi nell’utilizzo di una mano bionica (fornendo dati alla sua intelligenza artificiale) entrano in gioco i videogame, come nel caso che riporto nei prossimi paragrafi, che introducono anche l’utilizzo di soluzioni di realtà virtuale nel medesimo contesto.
Un caso esemplare: la piattaforma VITA
Un articolo di un team di ricercatori dell’Agenzia Aerospaziale Tedesca (DLR), intitolato “VITA – an everyday virtual reality setup for prosthetics and upper-limb rehabilitation”, ha presentato una soluzione a basso costo (agilmente implementabile ed utilizzabile a casa come in centri clinici) che integra un ambiente di virtual reality (VR) ed un sistema di rilevazione delle intenzioni dell’utente nel controllo di un arto superiore. La soluzione in questione è stata chiamata VITA (virtual therapy arm) e consente ad una persona con disabilità a livello di braccio o mano di interagire con oggetti in un ambiente virtuale videoludico come se disponesse del controllo dell’arto in questione, anche a livello della forza da esercitare tramite esso, sempre in base alle proprie intenzioni. Il sistema VITA può essere utilizzato nella riabilitazione degli arti superiori e nell’allenamento all’uso di protesi bioniche, come nel caso presentato nella figura sottostante, come pure nella valutazione dei risultati di tali procedure. L’impiego di soluzioni basate sul gaming in VITA permette la simulazione di contesti di vita quotidiana in modo altamente versatile e coinvolgente, estremamente compatibile con protocolli riabilitativi previsti anche in terapia occupazionale.
Ho avuto la possibilità di chiedere al coordinatore del gruppo di ricercatori che porta avanti questo studio, Claudio Castellini, una dichiarazione in merito – che qui riporto: “Noi del gruppo ABI (Interfacce Biologiche Adattive) al DLR crediamo fermamente nell’importanza della realtà virtuale e dei serious games per la riabilitazione protesica. Gli indizi del funzionamento dell’approccio esistono in letteratura scientifica da qualche anno, e alcuni di questi approcci sono addirittura già disponibili sul mercato. Penso che VR e videogiochi rappresentino un asset eccezionale per l’amputato, almeno in due sensi: in primo luogo come mezzo di addestramento all’uso della protesi vera e propria, in sostanza per prendere familiarità con il controllo diretto muscolare; in secondo luogo, per tentare di mitigare il dolore dell’arto fantasma”.
Il riferimento del Dottor Castellini all’arto fantasma è particolarmente interessante: si tratta di un’esperienza che porta un individuo a sentire la presenza (persino i movimenti) del proprio arto mancante, spesso insieme a sensazioni dolorose. Tale fenomeno è sia un problema clinicamente rilevante che un tema di ricerca altamente interdisciplinare, il che suggerisce la possibilità di utilizzare piattaforme riabilitative o di training protesico come VITA anche in qualità di ambienti per studi sperimentali in psicologia e neuroscienze.
Questo tipo di indagini permettono anche di combinare diverse soluzioni tecnologiche per potenziare l’allenamento all’uso di protesi o, specificamente, l’embodiment protesico – come nel caso di un nuovo approccio che sto esplorando in questo periodo e che presento di seguito.
Tecnologie ed approcci convergenti in training videoludici per l’embodiment di mani artificiali
Nel recente “Exploring the Embodiment of a Virtual Hand in a Spatially Augmented Respiratory Biofeedback Setting” ho proposto insieme ad alcuni colleghi una nuova soluzione per accrescere la sensazione che una mano artificiale sia parte del corpo di una persona. Gli autori del lavoro – che trae ispirazione dai classici studi sulla “illusione della mano di gomma” – sono membri di diversi centri: Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), SRI International, Università Cattolica del Sacro Cuore, Politecnico di Milano, Centro Protesi INAIL. Alla guida della progettualità iniziata con questo studio è il gruppo in cui lavoro, Rehab Technologies, laboratorio congiunto di IIT ed INAIL.
In uno studio preliminare relativo ad arti generati al computer entro un ambiente di realtà aumentata spaziale (che utilizza schermi e proiettori invece di visori), abbiamo presentato un sistema di “embodiment training” a basso costo (basato su dispositivi come monitor, microfono, smartphone) che fosse implementabile a casa (necessità sorta durante i mesi iniziali dell’emergenza COVID-19) e che ci permettesse di iniziare ad indagare se un apposito esercizio di biofeedback (imparare a controllare un proprio parametro fisiologico prestando attenzione alle sue variazioni mediante una loro rappresentazione/visualizzazione) in respirazione lenta potesse favorire l’incorporazione mentale di un arto artificiale – nel nostro caso un modello 3D di una protesi di mano, Hannes (realizzata da Rehab Technologies in collaborazione con il Centro Protesi INAIL). L’idea è nata considerando gli effetti psicofisiologici causati dal mantenere una frequenza respiratoria lenta (6 respiri al minuto, come in pratiche di meditazione e mindfulness) rispetto ad una normale (intorno ai 14).
Il risultato è stato il paradigma SARB (Spatially Augmented Respiratory Biofeedback), la cui prima implementazione è visibile nella foto qui sopra. SARB ci ha permesso di rilevare un potenziamento dei livelli di embodiment (valutato tramite questionari e misure del cosiddetto “proprioceptive drift”, lo scostamento tra il punto in cui si trova realmente l’arto del soggetto e quello in cui viene percepito) di una mano virtuale quando l’esercizio di biofeedback è stato eseguito respirando lentamente rispetto ad una condizione che prevedeva una respirazione normale. Per dare un’idea della procedura: il modello 3D della mano si “materializzava” solo quando il soggetto manteneva la frequenza respiratoria prevista (normale o lenta), divenendo visibile e capace di evocare sensazioni tattili (vibrazioni emesse sull’arto del soggetto grazie ad uno smartphone) quando sullo schermo avveniva una collisione con un oggetto virtuale (una sfera energetica). Compito, feedback ed altre caratteristiche del sistema sono stati progettati come soluzioni di gamification al fine di accrescere la sensazione di sfida ed il coinvolgimento dell’utente (un soggetto ha addirittura dichiarato di aver provato a “muovere” l’arto sullo schermo per toccare il proprio naso dopo una decina di minuti di esecuzione dell’esercizio). Va notato come le caratteristiche del sistema derivino dall’integrazione di diverse soluzioni tecnologiche (realtà aumentata spaziale e biofeedback) nella gamification di una piattaforma da cui emergono concetti innovativi di design dell’interazione, proiettandoli in contesti che non si limitano a laboratori di ricerca. La versatilità e l’adattabilità delle soluzioni videoludiche costituiscono proprietà preziose nel design di sistemi che supportino l’allenamento all’uso di protesi e la stimolazione del grado di embodiment di arti artificiali, ponendosi sia come frutto che come ispirazione di attività innovative di ricerca e sviluppo.
I dati raccolti (abbiamo coinvolto 22 soggetti senza amputazioni e 2 utenti di protesi mioelettriche) sono incoraggianti ma necessitano di indagini metodologicamente più sofisticate, monitorando ad esempio il tracciato elettroencefalografico dei soggetti, e approfondendo la questione della generalizzazione dell’embodiment virtuale a livello protesico. Infine, arricchendo il sistema SARB di ulteriori caratteristiche basate su elementi di videogame che ne accrescano la capacità di coinvolgere i soggetti, miriamo a poter fornire un vero e proprio training videoludico casalingo all’embodiment protesico prima ancora che l’utente riceva il dispositivo, promuovendone anche l’accettazione.