Glossario videoludico
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24 Maggio 2024Che giocare sia importante per lo sviluppo cognitivo, emozionale e personale di chiunque è una verità scientifica nota ormai da qualche decennio.
Tuttavia, i videogiochi sono spesso stati percepiti come un oggetto misterioso, a metà tra gioco e intrattenimento, da guardare quasi con sospetto.
Una ricerca condotta dalle Università di Padova, Bergamo, Pavia, Milano e Varese sfata molti falsi miti riguardo i videogiochi dimostrando come, con la necessaria guida, videogiocare possa addirittura diventare uno strumento al servizio dei bambini con difficoltà di apprendimento.
Ne abbiamo parlato con il professor Andrea Facoetti dell’università di Padova – che ha coordinato il lavoro – e la dottoressa Sara Bertoni, dell’università di Bergamo, tra i principali autori del lavoro.
Una ricerca che ha prodotto risultati rivoluzionari e che ha coinvolto vari enti e università. Ci dice di più sul team, sulle persone che hanno lavorato a questo risultato così importante?
Un team decisamente giovane, io (Andrea Facoetti, NdR) sono il più anziano, sono professore associato presso l’Università di Padova e dirigo un laboratorio che ha contribuito a sfornare le ricercatrici e i ricercatori d’eccellenza che compongono il gruppo.
La dottoressa Sara Bertoni – assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università di Bergamo – nel 2019 ha conseguito il suo dottorato nel nostro lab di Neuroscienze Cognitive dello Sviluppo presso il Dipartimento di Psicologia Generale, ovviamente con la collaborazione del professor Gori dell’Università di Bergamo.
Anche il dottor Sandro Franceschini ha realizzato il suo dottorato presso il nostro lab Padovano ed è stato la mente geniale che ha permesso di realizzare il nostro primo studio sui videogiochi nella dislessia pubblicato su Current Biology ormai undici anni fa, studiando in uno dei laboratori americani dove sono stati originariamente scoperti i benefici effetti dei videogiochi d’azione sull’attenzione.
Anche la dottoressa Bertoni ha realizzato diversi lavori sui videogiochi d’azione nella dislessia, ma non solo, anche nella discalculia e ha portato avanti il primo studio pilota sui ragazzi con autismo. La dottoressa Mascheretti, ora all’Università di Pavia, ha coordinato il team dei clinici presso l’IRCCS “Medea” di Bosisio Parini.
La dottoressa Ruffino, ora responsabile psicologia clinica dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza in provincia di Varese ha iniziato questo importante progetto preventivo con i bambini con disturbo evolutivo del linguaggio, anche lei autrice del nostro primo studio.
La dottoressa Chiara Andreola ha lavorato alcuni anni al progetto quando era in Italia e dopo il suo dottorato a Parigi, ora lavora presso una importante società che cura la didattica digitale in Francia. I nostri colleghi padovani, i Professori Associati Ombretta Gaggi e Claudio Palazzi del Dipartimento di Matematica, hanno realizzato il serious videogame sotto la supervisione operativa del nostro lab.
Come può aver capito l’idea è partita dagli autori del primo lavoro, e grazie alla spinta della Dottoressa Bertoni, che desiderava studiare i bambini più piccoli, abbiamo realizzato questo progetto che è durato diversi anni.
Un bel lavoro di squadra che ha permesso di raggiungere un risultato, almeno per noi rivoluzionario: ridurre la probabilità della dislessia annullando il principale problema cognitivo alla sua base, ovvero le difficoltà nella percezione dei suoni linguistici, realizzando uno dei primi studi al mondo di prevenzione dei disturbi specifici dell’apprendimento.
La principale causa della dislessia è la difficoltà nella percezione dei suoni. Come spiegherebbe a un genitore, in maniera semplice, i risultati positivi derivati dall’uso di videogiochi d’azione da parte di bambini con questo tipo di disturbi?
Confermo, la maggior parte dei nostri colleghi clinici e ricercatori nel mondo, ovvero la cosiddetta comunità scientifica internazionale, considera il problema nella percezione dei suoni linguistici la principale causa della dislessia evolutiva.
Alcuni studi precedenti ci suggerivano la possibilità che questi tipi di videogiochi, aumentando la velocità di elaborazione degli stimoli percettivi, potessero, non solo far crescere la quantità di lettere che possono essere elaborate contemporaneamente dal nostro sistema visivo, ma anche rendere più veloce l’estrazione delle differenze dei segnali uditivi che compongono i fonemi, ovvero le più piccole unità dei suoni linguistici.
Praticamente, il nostro sistema uditivo per sentire la differenza tra i suoni “p” e “b” oppure “f” e “v” deve elaborare i primi 30 millesimi di secondo di questi suoni, se non riesce a farlo questi suoni risultano praticamente indistinguibili. In effetti, da una nostra recente meta-analisi dei videogiochi d’azione nella dislessia evolutiva, avevamo rilevato che questo particolare videogioco, non migliora solo le capacità attentive visive ma anche quelle uditive-linguistiche.
Quanto tempo e quante sessioni servono per vederne gli effetti concreti?
I nostri studi precedenti indicavano che circa 12 ore di trattamento distribuite in 2 settimane erano in grado di sortire dei buoni effetti clinici sulle abilità di lettura nei bambini con dislessia evolutiva (le abilità di lettura in seguito al trattamento migliorano di più di un anno di sviluppo spontaneo). Ormai è chiaro che il nostro cervello è particolarmente plastico, ossia apprende meglio e in modo più veloce nelle prime fasi dello sviluppo; quindi, essendo questo campione formato da bambini ancora più piccoli (5 anni) rispetto ai nostri precedenti studi sui bambini con dislessia (circa 10 anni) abbiamo pensato che circa 20-30 sessioni da 45 minuti ciascuna potessero essere sufficienti per rilevare possibili miglioramenti nelle prove linguistiche valutate nel progetto.
In effetti, il nostro studio dimostra che sembrano essere necessarie almeno 20 sedute da 45 min, ovviamente supervisionate da personale esperto nell’ambito della riabilitazione neuropsicologica dello sviluppo.
Non basta mettere un bambino davanti ad un videogioco d’azione e sperare che le abilità linguistiche dei propri figli possano migliorare. Il videogioco è uno strumento riabilitativo che deve essere utilizzato da personale competente e preparato.
I dati raccolti saranno importanti anche nell’ottica di futuri programmi di prevenzione. Come si svilupperà ora la ricerca? A quale ambito specifico vi dedicherete?
Noi abbiamo fatto questa importante scoperta, ora sarà compito di altri laboratori nel mondo confermare e aggiungere importanti informazioni mancanti a questa prima scoperta. Per esempio, perché alcuni bambini non rispondono al trattamento? Il Ministero della Salute ha recentemente finanziato un progetto sulle possibili basi genetiche e l’uso di videogiochi d’azione come strumento di potenziamento delle abilità cognitive per lo studio della dislessia evolutiva coordinato dalle dottoresse Mascheretti e Bertoni.
In particolare, una delezione di un gene che regola lo sviluppo dei circuiti attenzionali – proprio quelli su cui lavorano questi tipi di videogiochi – potrebbe spiegare il perché alcuni bambini non rispondano in modo positivo al trattamento.
Altri progetti potrebbero seguire i bambini trattati con questo innovativo programma di prevenzione per un tempo più lungo rispetto al nostro studio, andando a verificare che effettivamente i bambini trattati leggeranno meglio. Questo è quello che ci suggeriscono le nostre ricerche: chi a 5 anni non presenta disturbi nella percezione dei fonemi ha minore probabilità di sviluppare la dislessia evolutiva. Sebbene sia un risultato atteso, la ricerca scientifica dovrà confermare questa plausibile ipotesi.
Certo, poi ci sono i “negazionisti” anche in questo ambito che scrivono sui loro blog e sui loro social non “credendo” ai dati e alle evidenze. Per fortuna il metodo scientifico non si basa sulle opinioni e sulle credenze ma su evidenze empiriche ripetute e avvalorate da molte ricerche di laboratori indipendenti e anche da alcune meta-analisi.
L’assenza di possibili conflitti d’interesse è importante: noi realizziamo queste ricerche senza alcun finanziamento privato.
La prossima frontiera sono i disturbi dello spettro dell’autismo, una sfida che trova molte resistenze ideologiche, ma ancora una volta la scienza ci dice che alla base delle future abilità sociocomunicative sembrano esserci elementari e severi disturbi dell’attenzione, proprio quelli che alcuni videogiochi sono in grado di migliorare, come un’ideale palestra in cui questi meccanismi vengono efficacemente allenati. La scienza avanza accumulando evidenze, poi spetta ai clinici e ai politici illuminati investire risorse per renderle utili per la salute dei nostri figli.
Se dovesse dare un consiglio a un genitore che vuole iniziare ad approcciare l’utilizzo terapeutico dei videogiochi, quale sarebbe?
Il primo sarebbe quello di ricordare a tutti i genitori che il “videogioco” è prima di tutto un “gioco”, uno strumento creato per divertire ed imparare, mettersi alla prova, migliorando le proprie abilità percettive e sensorimotorie, sociali, cognitive e di controllo delle emozioni, e non un demone da sconfiggere.
Ovviamente, il genitore dovrà essere capace di limitarne l’uso per evitare possibili abusi: tutto ciò che provoca piacere è soggetto a possibili dipendenze.
Secondo consiglio, forse più rilevante del primo, non cercate di fare gli specialisti della riabilitazione neuropsicologica senza averne le basi, affidatevi a esperti competenti in materia che hanno studiato come utilizzare al meglio questi strumenti tecnologici.
Purtroppo, molti centri clinici richiedono tempo per poter fare proprie le nuove conoscenze messe a disposizione dalla ricerca scientifica. Chiedete al centro clinico che ha in carico i vostri figli verifiche costanti dell’efficacia dei trattamenti che stanno intraprendendo. Supportate i vostri figli nel perseguire la scoperta delle proprie passioni educative, cognitive, sociali e perché no, sportive, giocando s’impara e se ci si diverte si impara di più e meglio!